Moda e design di strada per creare occupazione. Una intuizione di Anna dell’associazione Connecting culture di via Novi trasforma un progetto in una grande occasione per tante donne immigrate in cerca di futuro. Nasce Sartoria Migrante.

Sartoria Migrante: talento ed ecosostenibilità

«In collaborazione con designer e rifugiati abbiamo realizzato Sartoria Migrante,  – racconta Anna -,  messo in luce competenza artigianale e sartoriale di popoli differenti con materiali di riuso e  un’economia circolare».

Un lavoro che, da un lato ha valorizzato e potenziato il talento artistico dei migranti, dall’altra ha permesso loro di ottenere una retribuzione per il lavoro svolto. «È una scommessa che ho fatto – prosegue – per dare alla cultura una visione stabile e a lunga scadenza».

Specializzazione e  interdisciplinarità

«Si lavora per migliorare la qualità della vita. – puntualizza – Chi sono i fruitori? Designer, responsabili della comunicazione, professionisti delle aziende di moda che si occupano di ecosostenibilità. Prossimamente vogliamo allargare gli orizzonti, arrivare a architetti, urbanisti, mediatori culturali, antropologi e sociologi. Tutte quelle professioni che lavorano con e per il territorio. L’interdisciplinarietà è il nostro focus», sottolinea la fondatrice dell’associazione.

Dal quartiere alla città, e oltre

Progetti nati sotto la stella della cooperazione, dal quartiere per poi allargarsi a Milano e varcare i confini nazionali ed internazionali. Eppure, questo lavoro, reso possibile grazie all’impegno di artisti nordafricani e mediorientali, spesso non basta per cambiare vita. «Molti sono rifugiati – racconta – per qualcuno si profila  il rimpatrio. La speranza e il sogno di ritornare ad essere un sarto, un falegname o un pittore però non si spegne.  Quella fiammella, che si alimenta nelle quattro mura dell’associazione, resta viva, anche dopo». Un poi che  spesso si scontra con il sapore amaro della quotidianità. Un  successo solo nella mente e nel cuore, perché quel traguardo rimane su un quadro, in un oggetto o impresso in un tessuto. Ma la voglia di ritentare non svanisce, il desiderio e la speranza di essere notati, riconosciuti e di cambiare vita non si esaurisce, qualunque sia l’epilogo.

 

Nagwa, una laurea nel cassetto

Nagwa, una donna egiziana di religione mussulmana, madre di tre figli, da 25 anni  è in Italia. Parla un italiano fluente grazie alla scuola di italiano per stranieri che ha frequentato. «Quando sono arrivata in Italia per raggiungere mio marito non conoscevo neppure una parola di italiano – ci racconta – nonostante la mia laurea in letteratura non avevo modo di trovare lavoro perché non ero in grado di comunicare, neppure di fare la spesa da sola. Ad aiutarmi sono state prima altre donne arabe, poi i miei figli. Loro, nati e cresciuti in Italia, si sentono italiani, vanno a scuola, frequentano i compagni, vivono una vita ricca di attività, dallo sport alla musica ognuno ha le proprie passioni. Ma per far sì che io potessi anche solo andare a scuola a parlare con i professori, ho dovuto sforzarmi ed imparare l’italiano. Loro sono stati il mio stimolo».

Insegnante con la passione del cucito

Oggi Nagwa fa l’insegnante e cerca, attraverso il lavoro, di realizzare anche qualche piccolo sogno artistico, come quello di creare con la stoffa l’imbottitura di sedie antiche, che hanno fatto parte del progetto Sartoria Migrante. Ha un aspetto rassicurante, un sorriso caldo, Nagwa, lontano da ciò che può essere l’odio e il fanatismo che serpeggia negli estremisti islamici.

«Mia figlia non porterà il velo, se non lo vorrà»

«La religione mussulmana non è fanatismo – prende le distanze da chi, in nome della religione, commette atti di terrorismo – io credo che con la parola ed il dialogo le differenze si superino, le distanze si possano accorciare. E chi commette atti violenti non è ispirato dall’amore e dalla religione, ma solo dall’odio. Nessuno può imporre ad altri le proprie usanze. Neppure mia figlia di 16 anni sarà costretta a portare il velo, lo farà nel momento in cui si sentirà pronta e se lo vorrà».  

Di Federica Bosco

Giornalista professionista e scrittrice, responsabile e coordinatrice del blog Obiettivo Milano

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