Troppi cittadini nel  telefonare al centro prenotazioni di Regione Lombardia per un esame  diagnostico o una visita specialistica si sentono dire che la prima data utile è ad aprile 2024 o addirittura che le agende sono chiuse. La ragione? Mancano medici e infermieri. Nonostante la Lombardia vanti molte eccellenze nella Sanità, queste sembrano essere irraggiungibili, a meno che non si scelga di fare la visita o l’esame a pagamento. Due le conseguenze: liste d’attesa sempre più lunghe e cittadini che rinunciano alla prevenzione e alle cure.

Chi non può permetterselo cosa fa?

Una situazione difficile sotto gli occhi di tutti, anche di chi ha il camice bianco e una grande sensibilità. Lei è Gabriella Scrimieri, un’infermiera di un grande ospedale di Milano.  Occhi blu come il mare, che sprigionano energia solo a guardarli. Di fronte a tanta sofferenza trascurata, ha deciso di mettersi in prima linea e costruire un progetto per aiutare chi ha necessità di cure, ma non è in grado di sostenere i costi di una prestazione in solvenza. In particolare, l’attenzione di Gabriella è rivolta agli ultimi. Coloro che vivono nelle case popolari. Fonda così un’associazione “Ali di Leonardo” e con alcuni colleghi mette in piedi due ambulatori gratuiti nelle zone più disagiate di Milano.

Nelle case popolari di Calvairate, Molise, Ponti il primo ambulatorio ideato dall’infermiera degli ultimi 

Il primo ambulatorio nasce nelle case popolari del quartiere Calvairate, Molise Ponti, al civico 47 di via Molise. Il secondo, inaugurato il 28 settembre, a Ponte Lambro. Due luoghi per accogliere extracomunitari, indigenti, e tutti coloro che non hanno un medico di medicina generale o la tessera sanitaria per il controllo dei parametri vitali e per una prima anamnesi. «Ho visto piangere pazienti perché non si potevano permettere la prestazione a pagamento e dunque costretti a rinunciare alle cure», racconta.

La forza dell’infermiera

Una sofferenza emotiva che riporta alla mente dell’infermiera il suo passato nelle case popolari di Taranto fatto di micro e macro-criminalità, spesso senza i servizi essenziali. «Ho avuto un déjà-vu – racconta Gabriella alla presentazione del suo libro “Sono solo un’infermiera” –. Mi sono rivista bambina nelle case popolari di Taranto dove sono cresciuta e dove ho vissuto un disagio importante con cucito addosso il marchio di essere delle case popolari». Una vita in salita spinge Gabriella a volare alto e a cercare il riscatto nella professione, come la farfalla o l’araba fenice che ha scelto di tatuare sulla sua pelle. «Ho capitalizzato un’esperienza personale molto dolorosa per aiutare chi si trova in difficoltà. Così è nata l’idea del libro e dell’ambulatorio nelle case popolari», dice.

Era solo un’infermiera… ora Gabriella è l’angelo custode di  molte persone, soprattutto anziani

Dopo il Covid, quando medici e infermieri sono stati gli eroi della nazione, la Sanità italiana ha messo in luce tutte le sue lacune: liste d’attesa interminabili, pochi operatori sanitari, depressione post pandemia e la consapevolezza di lasciare sempre indietro qualcuno. «Ci siamo accorti che manca l’assistenza di base anche in una metropoli come Milano», racconta Gabriella. A soffrire di più sono le periferie, dove anche a Milano mancano le strutture e molti pazienti non hanno possibilità di cura. Oggi Gabriella non è solo un’infermiera, ma è molto di più. È diventata l’angelo custode di molte persone che accoglie con i suoi colleghi nei due ambulatori di periferia il sabato mattina dalle 9,30 alle 13. Nella maggior parte dei casi sono anziani con malattie croniche che vivono soli, malati psichiatrici o extracomunitari. La richiesta è tanta perché all’appello oggi – secondo le stime di ATS  – mancano 1326 camici bianchi mentre entro il 2026 andranno in pensione 2500 medici di medicina generale e pediatri di libera scelta e solo uno su tre sarà sostituito.

L’infermiera cerca un riconoscimento sociale per la categoria

Numeri che evidenziano una voragine. Il ruolo dell’infermiere può e deve essere rivalutato. Nel suo libro Gabriella fa emergere il compito difficile e complesso  di chi spesso viene messo in ombra, ma che ha invece un ruolo essenziale. «Serve innanzitutto un riconoscimento sociale – spiega -. I cittadini non sanno cosa significa essere infermiere. Il 71% non sa che siamo laureati e il 53% pensa che siamo ausiliari, non autonomi. Durante la pandemia eravamo degli eroi, poi siamo caduti in disgrazia con la campagna vaccinale. Abbiamo dovuto difenderci da aggressioni verbali e fisiche, eppure siamo sempre rimasti in prima linea ad aiutare i pazienti».

Il riscatto di una professione attraverso la capacità di ascolto

Una riflessione profonda di Gabriella che non nasconde la necessità di rivedere il ruolo dell’infermiere: «Dobbiamo lavorare molto sull’umanizzazione – fa notare -. Medici e infermieri scelgono di fare questo lavoro, i pazienti non di ammalarsi. Quindi dobbiamo accogliere chi necessita di cure con più dolcezza, la capacità di ascolto deve diventare il primo comandamento».

Di Federica Bosco

Giornalista professionista e scrittrice, responsabile e coordinatrice del blog Obiettivo Milano

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