Si chiamano Brigate dell’Emergenza, sono per lo più giovani volontari, studenti universitari e insegnanti e dallo scorso mese di marzo non si sono mai fermati. Con il loro impegno hanno permesso a molta gente, in particolare anziani delle case popolari, di continuare a vivere. Hanno messo una pezza dove sono mancate le istituzioni e per questo oggi sono un tassello importante del municipio. Li incontriamo in un sottoscala delle case Aler di via Porpora un sabato mattina mentre, con grande impegno, preparano i pacchi alimentari per gli indigenti della zona. Pasta, latte, prodotti in scatola, zucchero, farina, olio. Ogni pacco è preparato con cura, tenendo conto del numero dei membri della famiglia, di eventuali allergie o intolleranze, e per chi chiede qualche scatola in più spesso chiudono un occhio e cercano di accontentare tutti. Sono sorridenti e non rinunciano a fare quattro chiacchiere con gli abitanti delle case popolari che diligentemente si mettono in coda per ricevere i prodotti alimentari a loro destinati. Qui si respira solidarietà vera che restituisce una realtà molto differente da quella che si percepisce attraverso le trasmissioni televisive o le pagine dei giornali. Loro sono la Brigata Lena Modotti – il nome scelto è quello di due partigiane (Lena D’Ambrosio e Tina Modotti) che per tutta la loro vita hanno aiutato gli ultimi – e questi ragazzi ne sono la migliore rappresentazione. Sono un gruppo eterogeneo, alcuni molto giovani, altri disoccupati, la fascia di età va dai 18 ai 40 anni – racconta Monica, insegnante impegnata dal primo lockdown nelle brigate volontarie di emergenza – abbiamo occupato questo spazio, uno scantinato disabitato, ex lavatoio, segnalato dagli abitanti di queste case popolari. Noi avevamo bisogno di uno spazio fisico dove poter distribuire i pacchi alimentari e stabilire una connessione con gli abitanti. È stata la prima forma di mutuo soccorso che abbiamo attivato. I pacchi alimentari arrivano da due fonti, la prima Emergency presso cui abbiamo registrato delle famiglie e loro ci mandano un certo numero di pacchi, non bastano perché solo in questa fase stiamo seguendo trecento famiglie che abitano in via Porpora, via Arquà, via Amedeo e Forlanini. Le richieste sono davvero tante, ad alcune abbiamo dovuto dire di no, perché le risorse sono calate anche da parte di Emergency.  Integriamo con le collette alimentari. Stiamo davanti ai supermercati con gli stessi abitanti a cui poi forniamo il pacco. Li abbiamo coinvolti per far comprendere loro la fatica che facciamo in questo momento per recuperare cibo.  La situazione è cambiata tra il primo e il secondo lockdown, ora è amplificato il bisogno. In un primo momento si trattava di sostegno psicologico, che riuscivamo a colmare con una parola di conforto, un caffè, un dolcetto, ora invece le esigenze sono più materiali, c’è bisogno di cibo, pannolini per bambini e anche abbigliamento.  La gente di Milano dona anche con generosità – sottolinea Monica, mentre poco distante un ragazzo del gruppo scuote la testa – oltre ad Emergency e colletta alimentare, andiamo all’ortomercato dove recuperiamo gli invenduti di frutta e verdura che mettiamo nei pacchi>>.  Mentre Monica ci racconta quanto viene fatto dalla Brigata, un numero di persone si avvicina all’area di consegna, sono gli abitanti delle case popolari che contattati telefonicamente vengono a prendere il loro pacco. <<la tipologia dei nostri utenti è cambiata – riprende la volontaria – fino a qualche mese fa erano soprattutto famiglie straniere numerose e anziani a chiedere sostegno, oggi ci sono nuclei italiani con figli disabili o madri sole. La gente sta male – sottolinea – e questo spinge ad abbassare ogni remora, e a superare la vergogna di dover chiedere aiuto>>. La parola aiuto non fa più paura oggi, in molti sono costretti a pronunciare quella parola, anche persone che prima del Covid, mai avrebbero immaginato di scivolare tanto in basso. Gente che ha perso il lavoro da un giorno all’altro, che non ha grossi capitali alle spalle e che ha figli da mantenere. Loro sono i nuovi poveri e purtroppo sono più numerosi di quanto si possa immaginare>>. Monica ci invita a fare una riflessione anche sulla modalità di aiuto. <<se in un primo momento era un sostegno una tantum, oggi è una costante quotidiana. Diamo molto, ma alla fine tanto ci viene anche restituito da queste persone – conclude mentre ci mostra lo scantinato dove i ragazzi lavorano al freddo, indossando giubbotti, sciarpe guanti e cappello, oltre alla mascherina, per offrire il meglio ai condomini che a modo loro si rendono utili – oltre ad accompagnarci durante le collette alimentari – conclude Monica – sabato e domenica ci preparano il pranzo. C’è chi fa la pasta, chi il sugo, chi cucina la torta o il caffè che tutti insieme consumiamo intorno allo stesso tavolo. Stiamo cercando di attivare uno sportello sul lavoro e uno sulle pratiche di immigrazione, e collaboriamo con degli psicologi per dar loro un consulto. Sarebbe importante fare rete con chi possa dare un contributo attivo per sostenere queste persone>>. Sono un gruppo molto affiatato, ridono, scherzano mentre lavorano, <<la fatica non si avverte – aggiunge Marco, che non risparmia critiche ai governanti senza distinzione di colore politico – non chiamateci eroi, siamo giovani volenterosi di colmare le lacune di altri. Istituzioni e politica si dimenticano troppo spesso della gente, prendono decisioni senza neppure sapere quali conseguenze avranno e, se posso dire tutto ciò che penso, – conclude- ritengo che i milanesi non siano affatto generosi, potrebbero fare di più, ma spesso dinnanzi ad un problema si voltano dall’altra parte>>.

E’ arrabbiato Marco come la maggior parte delle persone che vivono in queste case, neppure troppo fatiscenti all’esterno, ma non appena varchiamo la soglia del portone che conduce nel cortile interno, lo scenario cambia inesorabilmente. Pareti scrostate, immondizia ovunque, balconi con parapetti di fortuna e tanto degrado.

 

Via Porpora, le battaglie dei cittadini delle case popolari: insicurezza, sporcizia e allagamenti.

 <<Benvenuti nelle case Aler di via Porpora 47 – esordisce Bruna, da tre anni vive in quella che un tempo era la casa dei genitori, mentre ci mostra con lo sguardo mucchi di spazzatura accatastati in quello che un tempo era il cortile interno, oggi discarica a cielo aperto – erano gli anni 50 quando mia mamma e mio papà hanno preso casa in questo stabile, erano appartamenti popolari, ma decorosi. Poi via via la situazione è peggiorata, gli edifici sono datati, ma restano pur sempre un patrimonio immobiliare storico importante per chi alloggia e per la città stessa>>, sottolinea senza timore alcuno. Si guarda intorno e snocciola tutta una serie di problemi che sono la punta dell’iceberg di una gestione deficitaria in cui le case Aler versano da anni. <<Qui vivono famiglie di anziani milanesi, alcune donne sole con figli e pochi immigrati. La situazione  è  apparentemente tranquilla, ma andando a guardare più vicino i problemi sono molti: quasi tutti i balconi hanno ringhiere non a norma in altezza, con grave pericolo per bambini ed anziani, quelle che alla vista sembrano a regola, in realtà sono state messe in sicurezza dai condomini stessi a proprie spese. Le cantine sono prive di luce, sporche e spesso allagate. Ci sono topi e insetti che denunciano una mancanza di igiene pericolosa – prosegue – non solo, l’acqua spesso arriva ai contatori che diventano pericolosi. Tanto le cantine, quanto i solai sono utilizzati per accatastare mobili abbandonati dai precedenti inquilini, rendendoli di fatto inaccessibili. Noi siamo qui a denunciare e ad aspettare una ristrutturazione che manca dal 1971. Gli ultimi lavori risalgono a quegli anni poi più nulla. Chi vive a piano terra e all’ultimo piano ha appartamenti pieni di muffa dovuta a una pessima impermeabilizzazione, le tubature sono rotte e persino gli idraulici chiamati dai singoli condomini si rifiutano di fare interventi per paura che possano crollare le tubature, ormai troppo vecchie>>. Intorno a noi si crea una certa curiosità, scendono altri condomini a dire la loro, la voglia di farsi sentire è più forte dell’omertà che spesso si respira in questi palazzi abitati da immigrati, Sinti e da persone agli arresti domiciliari. Sono le donne ad essere più combattive, non accettano più questo degrado, vorrebbero essere ascoltate ed il nostro progetto per loro è una grande occasione per far arrivare la loro voce a chi può dare risposte alle loro richieste. Si sono annotate tutto su un foglio <<per non dimenticare nulla>> dicono, ed infatti non trascurano alcun dettaglio. Prende la parola Antonella, madre di famiglia che rincara la dose. <<l’assenza di pensiline sia negli ingressi degli appartamenti che sulle scale comporta problemi agli intonaci, già scrostati e cadenti da anni. Le scale bagnandosi, oltre a rovinarsi diventano sempre più scivolose e pericolose. Tutte le settimane la custode è costretta a raccogliere pezzi di intonaco che si spera continuino a cadere solo sui gradini – aggiunge la donna – Per fronteggiare la “pioggia” di cornicioni, poi, Aler ha messo delle reti per rallentare la caduta ed evitare brutti incidenti, speriamo che tengano e soprattutto che qualcuno prima o poi vi ponga rimedio>>.  Il problema delle infiltrazioni di acqua piovana è denunciato da un’altra condomina <<nel palazzo c’è un ascensore, ma fuori uso, perché alla prima pioggia il vano ascensore si riempie d’acqua e diventa pericoloso. Nessun cartello però viene apposto per indicare il pericolo, chi vive qui ne è a conoscenza per il passaparola >>. Questa è la realtà che ogni settimana i ragazzi delle brigate si trovano ad affrontare e con il loro lavoro stanno riempiendo il vuoto lasciato dalle istituzioni. <<Nel primo lockdown la convinzione era che tutto sarebbe finito presto, ora la consapevolezza è che siamo difronte ad una crisi gigantesca che chiama in causa tutti e in questo scenario la reazione della gente è un misto di rabbia e di delusione – confessano gli abitanti di via Porpora. – è tempo di fare qualcosa, l’amministrazione comunale è assente>>. Lasciamo questo angolo di Milano che oggi assomiglia sempre più a tante altre zone popolari della metropoli meneghina, dove il virus ha fatto esplodere i problemi già presenti e amplificato il malessere della gente, con la promessa di fare da messaggeri perché qualcuno si prenda in carico le loro rimostranze.

 

 

By Federica Bosco

Giornalista professionista e scrittrice, responsabile e coordinatrice del blog Obiettivo Milano

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