LUCI E OMBRE DI SAN SIRO.

Poco distante dallo Stadio Meazza di San Siro, monumento della Milano sportiva e simbolo del municipio sette, convivono a fatica due mondi lontani per cultura, per origini e per destino. La ricchezza di imprenditori e calciatori con le loro ville immerse nel verde che circonda il tempio del calcio e la povertà delle case Aler, abitate in prevalenza da extracomunitari, vera spina nel fianco del municipio. Ribattezzata la Molembeek di Milano questo quadrilatero, che si snoda tra via Mar Jonio e piazza Selinunte, fino a piazzale Segesta che fa da spartiacque tra ricchezza e povertà, ospita 6094 appartamenti di edilizia popolare con 11 mila abitanti, per lo più extracomunitari. 2126 egiziani, 600 marocchini, circa 500 rom, 250 filippini e poi ancora cingalesi, indonesiani. Sono 10 le popolazioni di etnia diversa presenti. Qui l’integrazione è fallita.

LUCIA “IO NON HO PAURA”

Arriviamo in via Mar Jonio al civico 7 dove ha sede il comitato case Aler. Ci affacciamo in un cortile, al civico 9, da dove provengono le voci di due persone alle prese con una discussione animata. Lo scenario che si presenta ai nostri occhi è di degrado e abbandono, mentre la lingua dei due individui tra i 30 e i 35 anni tradisce un’origine araba. Potrebbero essere marocchini come egiziani, di sicuro sono arrabbiati e non se lo mandano a dire. Alle loro spalle, poco distante si intravede un palazzo nuovo a forma di torre con balconi curati arricchiti di piante fiorite e arredo in tek. Un’oasi nel deserto è il primo pensiero che si leva mentre un anziano del posto, ci viene incontro e chiede di seguirlo al civico 7 dove i responsabili del comitato case Aler ci attendono per una chiacchierata. I loro sguardi ci colpiscono non appena varchiamo l’ingresso di un angusto ufficio al piano terra. Sono italiani, per lo più anziani e si domandano come mai siamo arrivati fino a loro. Si sentono soli, in minoranza, depredati di una terra che non sentono più loro. A prendere la parola è subito Lucia, 80 anni, 78 dei quali passati in questa via “abbiamo subito una invasione – esordisce – negli ultimi 20 anni sono arrivati tanti stranieri, oggi sono l’80 per cento, per lo più egiziani, marocchini, filippini, cingalesi e rom. Questi ultimi sono i peggiori – aggiunge con sguardo severo – occupano le case sfitte quasi una ogni notte, sempre con la stessa modalità”. Cerchiamo di capire meglio il racket dell’occupazione, mentre immaginiamo la paura che tradisce il volto di questa donna guerriera che con altre due, presenti, ma meno loquaci, ci racconta come ogni notte il rumore assordante delle occupazioni tiene svegli i pochi italiani rimasti.

Secondo le stime raccolte dal Politecnico di Milano impegnato in un progetto di riqualificazione del quadrilatero di San Siro, sarebbero oltre 25 mila le famiglie in attesa di una casa popolare a Milano, molte di queste sono in lista d’attesa. Chi però non può o non vuole aspettare, si rivolge al racket. Il racket delle occupazioni nel quartiere San Siro non è gestito da un’unica organizzazione criminale, ma molte che gestiscono ciascuna uno o due stabili. Chi ha necessità di avere un appartamento in tempi brevi si rivolge a queste organizzazioni con il passaparola. Per occupare una casa il costo varia tra i mille e i duemila euro, di solito divisi in due rate, la prima si versa prima dell’entrata nell’abitazione, la seconda entro le 48 ore successive.

<<Tutto accade in pochi minuti. Verso le 3 di notte. Arrivano due di loro – narra sottovoce Lucia come fosse un film dell’horror – con il piede di porco spaccano la porta, entrano in casa, ma non da soli, ad accompagnarli c’è sempre una donna giovane ed un bambino piccolo>>. <<Più volte abbiamo tentato di fermarli – aggiunge Paola – ma spesso senza risultato, anzi una volta ho preso pure una sberla da una di loro che mi ha intimato di allontanarmi e di non farmi più vedere.  Ma come vedi io sono sempre qui>>, sorride l’anziana signora milanese. <<Una volta hanno occupato un micro nido, ma li abbiamo mandati via noi, con le nostre ronde, il cordone di sicurezza formato da noi>>, ammette con orgoglio.

Sono agguerrite le donne di San Siro, anziane, la maggior parte sole, vivono a fatica con una pensione che non basta mai, hanno figli ormai adulti e nipotini che curano durante il giorno e che non possono neppure portare al parco giochi. <<Sapete qual è il paradosso – riprende Lucia – siamo nate e cresciute in questo quartiere ed oggi ci sentiamo ospiti a casa nostra. Neppure più il parco giochi è frequentabile. Quando ci sono i bambini egiziani o marocchini, nessuno dei nostri piccoli può avvicinarsi alle altalene del parco giochi di Piazza Selinunte. Sono più razzisti loro di noi>>. Scrolla la testa, incalzata da Paola e Mario che ascolta in silenzio, ma annuisce <<Tutto è diventato loro, le case (occupate) i cortili (ormai immondezzaio a cielo aperto) ed ora anche i giardini pubblici dove i più piccoli sembrano aver già adottato le regole dei genitori. Nessun italiano può giocare con loro o divertirsi sui giochi, se ci sono loro>>. <<Vi sembra giusto? – Paola non si rassegna – anche se ho preso una sberla e tanti insulti, io non mi arrendo. Magari non mi faccio vedere in giro, ma se c’è da fare la ronda di notte o da chiamare la polizia io non mi tiro indietro. Arabi che odiano gli slavi, marocchini che insultano gli egiziani, e poi lo spaccio di droga in ogni angolo. Questo selvaggio west deve finire. L’altro giorno hanno addirittura buttato giù dal balcone del quinto piano un frigorifero, con il rischio di ammazzare qualcuno che poteva trovarsi in cortile in quel momento. Mica si preoccupano loro, non hanno regole, ciò che pensano, fanno. E poi litigano, tra etnie diverse, in particolare marocchini ed egiziani proprio non si tollerano ed ogni discussione finisce in rissa. È diventato davvero difficile vivere qui>>. Lo sguardo si abbassa, gli occhi si riempiono di lacrime eppure la commozione lascia il passo al coraggio non appena chiediamo perché restare? <<qui sono nata e cresciuta, mi sono sposata, sono nati i miei figli ed ho vissuto con mio marito finché il male se l’è portato via. Ho i ricordi di una vita che mi fanno compagnia e che mi aiutano ad andare avanti. Cosa vorrei? Maggiore attenzione da parte delle istituzioni e più sicurezza. Perché hanno permesso di arrivare a questo degrado?>> Con la mano mi indica le case di via Mar Ionio con le pareti scrostate, l’immondizia nel cortile, biciclette abbandonate e il pavimento sconnesso. <<Qui ogni giorno è una scommessa per non farsi male, per non essere picchiati e per vivere. Ma non ci arrendiamo, siamo anziani e difenderemo fino alla fine le nostre case>>. <<Se uno di noi sta male ha paura ad andare in ospedale – ammette Mario – non per le cure, ma per il pensiero di trovare la casa occupata al ritorno>>. Un dramma che non trova spiegazioni, come la morte del piccolo Mohamed, due anni e mezzo, ucciso a calci e pugni dal padre in via Ricciarelli, poco distante da qui. <<Tutti sapevano, ma nessuno ha mai avuto il coraggio di parlare, per paura o semplicemente per indifferenza – dicono – storie di ordinaria indifferenza che non hanno risparmiato neppure l’anziana donna che ha deciso di togliersi la vita lanciandosi dalla finestra in uno stabile di via Maratta>>. Un altro dramma che purtroppo in questo quartiere si conosce bene. <<Era una donna anziana, viveva con la figlia, quando quest’ultima se ne è andata, non ha retto la solitudine ed ha deciso di farla finita>>.  Qualcuno solleva lo sguardo, storce il naso, bisbiglia sottovoce. C’è chi non crede al suicidio, ma preferisce non dare spiegazioni o aggiungere altro.   Queste tragedie a San Siro si devono evitare. <<Lanciamo un appello alle istituzioni affinché non ci lascino soli in questa che un tempo era la nostra terra, oggi di tutti e di nessuno>>.

Lasciamo questi volti segnati dal tempo con un abbraccio e con la speranza di poter fare qualcosa per loro. Come diceva Madre Teresa di Calcutta “Sappiamo bene che ciò che facciamo non è che una goccia nell’oceano. Ma se questa goccia non ci fosse, all’oceano mancherebbe”.

Per la verità qualcosa già si sta muovendo. Psicologi e avvocati, ciascuno per le proprie competenze, hanno aperto uno sportello per dare supporto alle famiglie. Dodici mesi di attività che ha prodotto dei dati su cui oggi si studia e si lavora per il futuro.

By Federica Bosco

Giornalista professionista e scrittrice, responsabile e coordinatrice del blog Obiettivo Milano

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