Piazza Tirana, Largo Giambellino, via Emanuele Odazio fino a Largo dei Gelsomini, quella che un tempo era denominata la zona della droga oggi è la periferia dimenticata di Milano. Negozi chiusi, spaccio e degrado rappresentano la consuetudine come ci spiega Dario Anzani educatore della  zona, che ci fa conoscere i problemi di Giambellino, dalla gioventù bruciata, alle case Aler dove non sembra esserci futuro.

<<In questo angolo del municipio sei la maggior parte delle case sono di Aler. Le riconosci – spiega Dario  – sono fatiscenti e in uno stato di degrado che spesso le rende addirittura non agibili, eppure sono abitate>>, racconta mentre varchiamo l’ingresso ed entriamo in un cortile che ai nostri occhi si presenta vecchio, ma con una pavimentazione in Sanpietrini ancora in apparenti buone condizioni. Invece è il primo di una serie di problemi di agibilità che interessa tutto il palazzo. <<Qui i mezzi di soccorso non possono entrare – spiega Dario –  sotto ci sono ancora i rifugi utilizzati durante la seconda guerra mondiale ed oggi il rischio che il pavimento imploda è elevato, così quando è necessaria un’ambulanza o devono intervenire i vigili del fuoco, non possono entrare con i mezzi pesanti, ma solo a piedi. Con il risultato che le operazioni sono più complesse e i tempi troppo lunghi. Ma finché non scapperà il morto, nessuno sembra avere intenzioni di intervenire. Nessuno si preoccupa di risolvere il problema e qui di problemi ce ne sono davvero tanti>>. Su invito di Dario alziamo lo sguardo verso l’ultimo piano dove una serie di tapparelle rotte denota uno stato di abbandono ancora più marcato. <<Lassù – indica alcuni balconi visibilmente rifugio di piccioni – sono tutti appartamenti occupati. Erano blindati un tempo – ci racconta – avete presente le lastre di acciaio? Ecco ogni porta era sigillata in quel modo. Ad un certo punto è iniziato il racket dell’occupazione ed allora c’era chi dormiva su un divano sul ballatoio. Chi voleva passare doveva letteralmente scavalcare lo sgradito ospite, senza fiatare o lamentarsi. Gente anziana che a settant’anni doveva passare di soppiatto facendo in modo di non disturbare chi era in procinto di fare un’occupazione>>. Se guardando in alto il panorama non lascia spazio a molta interpretazione, peggio ancora è la situazione ai margini del cortile. Materiali e oggetti accatastati in un angolo col rischio che i bambini che giocano nel cortile vengano travolti o si feriscano. <<Ma tutto tace – riprende Dario – chi cerca di alzare l’attenzione sul problema non trova un interlocutore nelle istituzioni e può solo cercare di vivere alla meno peggio>>. È il caso di una milanese doc che da tempo vive in questo complesso. <<Prima viveva al quarto piano senza ascensore costretta a convivere con il racket degli alloggi – spiega Dario – poi abbiamo scomodato il Prefetto per farle avere un appartamento a piano terra per la sua difficoltà a muoversi per via delle gambe>>.

<<Ho nostalgia di quel posto – commenta quasi a sorpresa la donna, caschetto nero e fisico asciutto, a dispetto dei suoi 72 anni e un bagaglio di esperienze raccontate nelle fotografie in bianco e nero che tappezzano la sua casa – i nemici se li conosci sono meglio dei finti amici. Gli stessi che fino a due anni fa mi minacciavano oggi mi portano il panettone a Natale, mi dicono che manco in quel luogo perché oggi è alla deriva. Io ho anche nostalgia di quella casa, ho tanta gente che mi vuole bene>>.

<<Lei è un’anima della vecchia Milano – riprende Dario – oggi vive in periferia con grande dignità. Fa la volontaria alla Caritas ed è una vera e propria istituzione qui, oltre ad essere un’artista. Tutti la cercano, la invitano>>. <<A proposito – interviene la donna, mentre ci accomodiamo nel giardino che si apre sul retro della casa– domani porto a battesimo un bambino somalo, una famiglia che vive in questo stabile con cui ho instaurato un ottimo rapporto>>. <<Lei è un esempio di integrazione – aggiunge Dario – chiunque in sua compagnia riesce a trovare una propria dimensione, qui è un modello da seguire. Poi ci sono molti altri che fanno meno, ma tutti insieme fanno una comunità che fuori dalle case popolari neppure si sognano di avere perché c’è chiusura, indifferenza, mancanza di fiducia nel prossimo>>. Una paura che in questo territorio ha il nome e il volto dei tanti individui che gestiscono il racket delle case, <<per una cantina si pagano 500 euro per vivere in compagnia di ratti e scarafaggi- ammette la donna – eppure se l’alternativa è una macchina allora anche la più fatiscente delle abitazioni va bene>>. <<La gente vive terrorizzata – riprende Dario – anche senza motivo perché mentre a Quarto Oggiaro ci sono organizzazioni pericolose che gestiscono il racket della droga e delle case, qui sono disperati che tentano di sopravvivere, pensate che ogni tanto hanno dieci minuti di gloria, arrivano in BMW, sgommano per le vie e solo poche settimane dopo sono costretti a vendere la fuoriserie perché hanno i debiti e qualcuno li sta cercando. Per fortuna siamo ancora a quel livello, ma se si lascia incancrenire la situazione e non si danno soluzioni, si avrà l’accentramento del Giambellino, che porterà, come conseguenza, la fine del quartiere>>.

<<Non credo si possa ancora fare qualcosa, apprezzo la volontà, ma non ho più fiducia – interviene la donna – Lo sfacelo e il degrado sono alla massima potenza e soprattutto manca lo spirito di collaborazione e la volontà delle istituzioni di cambiare le cose e di salvare questo angolo di Milano. Dopo la guerra io vivevo in centro, vicino al Duomo non avevamo l’acqua, ma quando arrivava un vicino con qualche novità, la condivideva con tutti. Oggi non è più così. I politici fanno progetti senza sapere il contesto del quartiere, poi cercano di realizzarli e devono cambiare in corsa quando si rendono conto quali sono i reali bisogni del territorio e il piano non è attuabile. Questo è il vero problema. – puntualizza  – ci sono ambiti, come quello sanitario dove gli anziani non hanno i soldi per acquistare i medicinali e perciò non si curano. Un dramma a cui nessuno guarda, per questo non credo più alla Milano benpensante che vuole fare, perché parla, ma poi nessuno realizza – ripete come una cantilena  – A me i politici non piacciono proprio.  Vi racconto un ultimo aneddoto, una signora qui nel palazzo ha acquistato casa, poi politici e istituzioni hanno permesso che diversi appartamenti venissero occupati. Oggi lei si trova spazzatura e sporcizia ovunque, nel pianerottolo e sulle scale e non riesce neppure a vendere>>.

<<Lo scenario è di arretramento dello stato sociale, – scuote la testa Dario mentre come un fiume in piena riprende a parlare – non c’è più socialità,  la chiesa non basta, oggi si cerca di salvare il salvabile, ma non funziona.  Quando stai perdendo la casa per sfratto esecutivo, hai un bisogno reale, non ti frega nulla degli altri, della città, della politica o delle istituzioni… Per questo dico che sono necessari piani straordinari, invece la riqualificazione del Giambellino viene trattata come partita politica di consenso, non del quartiere, ma di chi sta bene, che vive in centro e che passa di qui solo per andare all’IKEA e allora vede case fatiscenti e pensa che la soluzione sia di abbatterle, senza pensare che lì ci sono storie e famiglie da salvaguardare. Questa è la terra del paradosso: pensate che, a dispetto della povertà che regna sovrana, qui le spese condominiali di Aler sono più alte di tanti stabili di lusso. Con le energie di quartiere che abbiamo si potrebbe fare una riqualificazione efficiente e riavvicinare i cittadini alle istituzioni, invece nessuno guarda a fondo, solo la superficie conta per apparire e avere consensi elettorali. A breve partirà la ristrutturazione di cinque condomini su 31 presenti. Ad ogni famiglia verranno dati in dotazione 700 euro per il trasloco. Bene, ma perché non usare persone disoccupate, gestite dalle parrocchie per fare il lavoro di sgombero e quindi rendere il disagio del trasloco una risorsa per il quartiere? – Si domanda Dario – questo potrebbe essere una risposta positiva alla disperazione di quanti, rimasti senza lavoro, si ubriacano con le slot machine>>.   La domanda per il momento non trova risposta, ma sicuramente farà riflettere qualcuno.

Di Federica Bosco

Giornalista professionista e scrittrice, responsabile e coordinatrice del blog Obiettivo Milano

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