A Quarto Oggiaro, uno dei quartieri più difficili di Milano, vive Davide. 47 anni e una storia di riscatto che parte da una piccola associazione “Ripartiamo” e prosegue oggi con una casa e un lavoro. Una vita vissuta in bilico che oggi sembra aver trovato la sua dimensione.

Ci accoglie con un sorriso, ma lo sguardo tradisce un velo di malinconia. Davide ha un vissuto fatto di abbandono, droga, carcere e poi rinascita. L’abbiamo conosciuto attraverso una piccola associazione che ha sede in viale Espinasse “Ripartiamo”. Un nome ben augurale che a Davide ha portato davvero fortuna, o meglio ha restituito la vita.

“Ripartiamo”… Davide ce l’ha fatta.

Otto soci fondatori, tra cui Chiara – il motore dell’associazione – che ha grinta e tenacia abbastanza per accogliere, ascoltare e poi cercare di restituire a chi è caduto nel baratro, un motivo per invertire la rotta e ripartire. <<Il nome ripartiamo vuole essere il primo biglietto da visita per restituire fiducia in chi l’ha persa. I nostri ragazzi, una trentina negli ultimi dodici mesi, hanno dai 35 ai 60 anni e sono per due terzi italiani>>. Questa è la prima grande anomalia che riscontriamo. Nella evoluta Milano dove ci sono tanti progetti di accoglienza per cittadini stranieri, in realtà ci sono anche tanti italiani nella condizione di dover chiedere aiuto. Sono in prevalenza uomini, dai 35 ai 50 anni, soli, sfrattati, spesso abbandonati dalla moglie e dai figli o reduci da un fallimento professionale o da un periodo di carcere. <<Ripartiamo vuole essere il punto di partenza per ognuno – racconta Chiara – li intercettiamo tramite gli assistenti sociali o facendo rete con le altre associazioni. Quando arrivano da noi sono spesso impauriti e diffidenti. La vita non ha fatto sconti a loro>>. L’inserimento nell’associazione, che oggi conta 98 iscritti tra volontari ed assistiti, prevede alcuni step a cui i protagonisti sono sottoposti. <<Il primo approccio non è mai facile. Abbiamo un incontro conoscitivo. – spiega – Non tutti hanno voglia però di ricordare e riaprire ferite mai completamente chiuse, quindi una volta superata la barriera del silenzio, si passa attraverso una rete di assistenti sociali e poi si cerca di trovare un contesto lavorativo idoneo per far sì che davvero i soggetti fragili possano ripartire.  Il primo ambito in cui si devono misurare è il mercatino dell’usato. L’associazione mette a disposizione la merce, recuperata da sgomberi, l’autista e il camion per il trasporto del materiale. Loro devono occuparsi dell’allestimento e della vendita, quanto viene incassato, dedotte le spese vive, resta a loro. Un inizio che funziona da amplificatore perché una volta entrati nel progetto ne diventano parte integrante e acquisiscono nuovi stimoli per affrontare sfide più impegnative, come quella che ha visto protagonista Davide>>.  Il ragazzo che oggi ha un appartamento in una palazzina popolare di Quarto Oggiaro ed un lavoro da giardiniere nell’associazione Ripartiamo, fino a pochi anni fa era uno degli ultimi. Nato da una prostituta, che voleva sbarazzarsi di lui ancor prima che nascesse, a pochi mesi è stato affidato allo zio materno di Torino. Dieci anni di botte e soprusi hanno caratterizzato infanzia e adolescenza, finché, all’età di 17 anni, esasperato dagli attacchi feroci subiti, decide di lasciare lo zio per fare ritorno a Milano dalla madre. Un rientro in famiglia mal tollerato dalla madre che lo costringe a trascorrere molte ore in strada. Sembra un destino ormai segnato, il suo, da droga e carcere quando, a seguito di un tentativo di suicidio, incontra Chiara e l’associazione Ripartiamo. Il resto è storia recente: un appartamento a Quarto Oggiaro e un lavoro che lo restituiscono alla vita. <<Chiara e l’associazione sono oggi la mia famiglia – ci racconta Davide mentre cerca di trattenere le lacrime – ho passato anni infernali, prima le botte di mio zio poi la strada dove sono diventato schiavo della droga. Ho vissuto per 27 anni con gli ultimi, tra il sottopassaggio della stazione centrale e qualche macchina scassinata per ripararmi dal freddo.  Sono stato diverse volte in carcere finché un giorno, sfinito e senza prospettive, ho deciso di porre fine alla mia vita. Ho ingerito un mix di tranquillanti e alcol finché ho perso conoscenza e sono stato trasferito d’urgenza all’ospedale. Al mio risveglio sono stato preso in carica dagli assistenti sociali e il comune mi ha assegnato una casa. La mia reazione è stata di paura, temevo di non farcela, ma l’intervento dell’associazione è stato provvidenziale>>. <<L’abbiamo preso per mano – interviene Chiara – gli abbiamo restituito fiducia in sé stesso e nella vita>>.

Di Federica Bosco

Giornalista professionista e scrittrice, responsabile e coordinatrice del blog Obiettivo Milano

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