Nel Gallaratese, quartiere più longevo d’Europa, il sociale ha un ruolo determinante.  Tra i più attivi, il Centro diurno Appennini, uno dei quindici centri comunali presenti a Milano che ospitano ragazzi con disabilità. Con loro Cinzia e  mamma Ada che ha fatto una scelta coraggiosa per il “dopo di noi”.

Centro diurno Appennini, eccellenza del terzo settore 

In un afoso pomeriggio di giugno, arriviamo in via Appennini, dove, tra tanti palazzi costruiti durante il progetto di urbanizzazione degli anni ’70, si trova una palazzina bassa, circondata dal verde che trasmette subito un grande senso di tranquillità e di serenità. E’ la sede del centro diurno.

Ci accoglie Antonio, non tardiamo a capire che si tratta di una vera istituzione del terzo settore. Subito ci racconta la storia di quello che orgogliosamente per i milanesi è uno dei quindici servizi a prestazione diretta rimasti. «Milano è l’unica città italiana ad avere questo privilegio – rimarca – nelle altre ci sono strutture private convenzionate con gestione affidata a cooperative, invece noi siamo dipendenti comunali laureati, chi in scienze dell’educazione, chi in neuropsicomotricità, tutti professionalmente preparati».

“Dopo di noi” senza paura

Un valore aggiunto per la struttura che accoglie ragazzi con disabilità anche molto gravi. «Oggi sono 22, ma siamo accreditati per ospitarne fino a 30 – sottolinea Antonio – l’età media è 50 anni e il tema più ricorrente da affrontare è il “dopo di noi”». Una spina nel fianco per tanti genitori che, arrivati alla terza età, si trovano a dover decidere il futuro dei loro figli in una situazione di grande sofferenza psicologica.

Un progetto pilota per il distacco

“E’ una vera emergenza del territorio – racconta – che comporta per le famiglie una scelta difficile, sofferta. Pensare a chi si prenderà cura dei ragazzi con disabilità quando non ci saranno più i genitori è il focus di un lavoro che stiamo seguendo. Si chiama “Provo anche io per vedere l’effetto che fa” ed è un progetto pilota per inserire questi ragazzi in ambienti protetti, ma autonomi.

Casa Betty per l’autonomia

«Abbiamo preso un appartamento a Figino – racconta Daniela, operatrice del centro – per sviluppare l’autonomia e il pensiero che possono avere una vita al di fuori della famiglia». Un processo lungo e difficile che gli operatori del Centro Diurno disabili (10 educatori e 4 assistenti sociali) avviano dapprima con le famiglie. «Devono essere accompagnate – spiega Daniela – per questo la competenza degli operatori è fondamentale. Svolgiamo delle attività individuali, perché il primo passaggio da fare è rassicurare le famiglie, prendersi cura di loro. Se non lo facciamo noi, sono completamente abbandonate. Dopodiché, conquistata la fiducia, analizziamo le capacità dei ragazzi disabili, anche minime, con il supporto di educatori, di psicologi e attraverso un’attività teatrale, cerchiamo di far emergere le loro potenzialità. Una volta raggiunta la consapevolezza inizia il periodo di prova lontano dalla famiglia, fino ad arrivare ad una autonomia monitorata».

Il compito delle mamme

Un percorso difficile che non tutte le famiglie hanno la forza di fare, ed allora la condivisione delle esperienze rappresenta lo strumento più efficace.

«Abbiamo avuto mamme che già da tempo hanno scelto di far vivere i propri figli in autonomia. Non è stato facile, soprattutto all’inizio, spesso sono state criticate, giudicate, senza sapere e conoscere – racconta Daniela – noi le abbiamo aiutate ad affrontare le difficoltà. Oggi sono loro che insegnano alle altre come si affronta il distacco e come si gestiscono le emozioni».

La forza di Ada

Ada, rimasta vedova in giovane età, ha scelto per sua figlia Cinzia un futuro lontano da lei.  Una chance che in casa non avrebbe potuto avere. Dapprima l’ha fatta studiare in un centro diurno lontano da casa, poi a 18 anni, rientrata in famiglia, ha cercato la soluzione più idonea. Oggi Cinzia ha più di 50 anni, vive a casa Betty, ama la musica e cucinare. Vede sua mamma Ada nel fine settimana, quando va a trovarla. Ma ha la consapevolezza che la sua vita è in compagnia di altri ragazzi in quella che lei considera oggi la sua casa. Il futuro per lei non è più un’incognita senza risposta.

Di Federica Bosco

Giornalista professionista e scrittrice, responsabile e coordinatrice del blog Obiettivo Milano

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