Nato per togliere dall’isolamento i cittadini, il progetto social street sembra essere uno strumento molto efficace per dare voce ai residenti del Municipio 5.  Antonella  è la presidente,  minuta, occhi azzurri e piglio deciso, capace di mettere il cuore sempre oltre l’ostacolo.

Tutto è iniziato da una pista ciclabile

«Sono partita dal concorso indetto dal Comune nell’ambito del bilancio partecipato, per raccogliere idee e fare iniziative per migliorare il quartiere. Il mio progetto prevedeva la riqualificazione di un’area verde abbandonata di Gratosoglio, via Rozzano. Un tratto sterrato in una situazione di completo degrado, che veniva usato spesso come discarica abusiva, o ritrovo di senza fissa dimora. Ho proposto di farlo diventare un tratto di pista ciclabile con una giusta illuminazione anche serale. Abbiamo iniziato a diffondere il progetto, anche con il porta a porta. Alla fine, è risultato essere il più votato, non solo nel Municipio 5, ma in tutta Milano.  Al momento della vittoria ho pensato di aprire una pagina Facebook, facendo diventare i social una piazza virtuale di incontro. È nata così l’idea di registrare la pagina Social Street Gratosoglio Basmetto e dintorni all’albo dei gruppi informali del Comune di Milano e di creare eventi».

Novecento famiglie a rischio

La bacheca della social street è diventata in breve tempo virale. In particolare a stimolare il dibattito sono i temi ambientali.  Antonella  ci porta a vedere da vicino il grave problema dei rifiuti abbandonati lungo le vie del Gratosoglio «Abbiamo fatto ricorso al Codacons per denunciare un danno ambientale che mette a rischio la salute dei cittadini – spiega -. Andando a fondo della questione abbiamo scoperto che le case Aler non si sono adeguate al regolamento edilizio del Comune, che dal 1999 prevedeva un luogo idoneo per la raccolta. Qui c’è un solo gazebo di raccolta per nove palazzi, ognuno con più di cento famiglie. È evidente che non basta»

Un solo gazebo per la raccolta dei rifiuti

Sotto i nostri occhi un addetto alla gestione dei rifiuti pone i sacchi al di fuori del gazebo preposto, incurante del fatto che verranno raccolti solo due giorni dopo. «È un atteggiamento incomprensibile, lasciarli in strada significa incentivare i cittadini ad avere lo stesso comportamento e mettere in pericolo i passanti». Non ammette scuse Antonella che accompagnata dal marito e pochi altri residenti non si rassegna all’incuria. «Vogliamo trovare soluzioni. Chi vive questo degrado in prima persona non si espone per paura di essere cacciato dalle case Aler. Gli altri tacciono per convenienza – prosegue nell’analisi -. Molti sono occupanti abusivi (il 25% su 1000 famiglie), circa il 60% stranieri. È evidente che esiste un problema che non può essere trascurato».

L’amianto che uccide sotto gli occhi di tutti

Ci spostiamo di pochi metri per vedere alcune colonne di un palazzo avvolte in un cellofan. «Sono case Aler e i pilastri sono rivestiti da amianto che si sta sgretolando – mostra Antonella –.Un gruppo di residenti ha pensato di risolvere il problema nascondendolo, senza rendersi conto dei danni conseguenti». In diversi punti il cellofan è rotto e il rimedio non può essere quello. «Abbiamo cercato in mille modi di farci sentire – prosegue –. Abbiamo richiesto un sopralluogo perché l’unica soluzione definitiva è la bonifica». Una richiesta reiterata diverse volte negli ultimi cinque anni che non ha avuto riscontro. «I morti per cancro in questi palazzi non si contano più – ci racconta un residente del palazzo –, una guerra contro un nemico invisibile che ci farà ammalare tutti».

Prati e orti contaminati

Il clima di rassegnazione è palpabile in ogni angolo e lo dimostra un terreno coltivato nelle immediate vicinanze. «Sono orti abusivi e poco più in là c’è il campo rom tutto a rischio contaminazione amianto». Non possiamo non notare che se alcuni residenti hanno cercato di arginare il problema con il cellofan, altri non incuranti del rischio che corrono, vivono a contatto con i pilastri di amianto in deterioramento, senza preoccuparsi delle conseguenze. Per entrare ed uscire dal palazzo sono costretti a passarvi di fianco, a volte sfiorare o addirittura toccare i pilastri. «I bambini in particolare durante l’estate giocano in questo cortile – ci fa notare Antonella – se non si interviene tempestivamente, per loro non ci sarà futuro».  La gente vive senza fare troppe domande.

Dalla social street un appello allo sportello amianto

Attraverso la social street Antonella, suo marito e gli oltre 700 residenti iscritti non si arrendono. Li informiamo dell’esistenza dello sportello amianto nazionale che offre consulenza, consigli e soluzioni.  Si conclude il nostro incontro con la promessa di rimanere in contatto per non abbassare la guardia su un tema che sembra essere marginale, ma che invece riguarda tutti i milanesi, anche chi vive a pochi chilometri di qui. I detriti dell’amianto volano, si depositano ovunque e non risparmiano nessuno.

By Federica Bosco

Giornalista professionista e scrittrice, responsabile e coordinatrice del blog Obiettivo Milano

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