Lui è Mario, per alcuni il cuore pulsante del Municipio 5, di sicuro il motore di un progetto di socialità “Gli orti condivisi” che ha avuto due importanti risvolti: accorciare le distanze tra gli abitanti e ridare speranza a coloro che avevano perso tutto, lavoro, dignità ed erano ai margini della società. Lo incontriamo in un bar di periferia in una giornata di pioggia nella zona chiamata Baia del Re. Mario, grande appassionato di storia di Milano, autore di un libro e di un sito milanoneltempo.it, tiene a precisare che questo soprannome è stato dato dagli abitanti per ricordare Kingsbay, ultimo avamposto
scandinavo di una spedizione partita da qui e guidata dal comandante Umberto Nobile verso il Polo Nord.

Tre chilometri dal centro alla periferia

«Il nostro quartiere ha una particolarità – afferma -, va dal centro fino alla periferia, tre chilometri che sono lo specchio della città: metropolitana, ma contadina al tempo stesso. Ricca e opulenta, ma anche povera e ingrata per quanti vivono ai margini. In questo Municipio cerchiamo di far convivere le
due anime, di sovvertire i paradigmi, di ridare dignità a chi l’ha perduta, di aiutare gli ultimi e di accorciare le distanze».
Esordisce come un fiume in piena Mario, ci travolge di notizie e curiosità sul Municipio che sente suo, più di ogni altro, perché qui è cresciuto e lavora, anche se la sua cultura su Milano va oltre i confini della Darsena, di Porta Romana e Gratosoglio.

Quartiere multietnico con vocazione agricola

«Trattandosi di un territorio a vocazione agricola, è nata l’esigenza di rendere l’agricoltura un mezzo di aggregazione, ma anche di rilancio e di rinascita per quanti ad un certo punto della loro vita si sono trovati in difficoltà – afferma -. Sono nati così gli orti abusivi, oggi spontanei. Abbiamo iniziato mia moglie ed io una decina di anni fa vedendo una discarica nei pressi di viale Missaglia. Un terreno abbandonato ricoperto da rifiuti non poteva essere la cartolina di benvenuto per quanti entravano a Milano a sud, dalla zona dei navigli. Abbiamo allora deciso di ripulirlo, senza chiedere aiuto a nessuno. Ci siamo attrezzati ed abbiamo liberato un appezzamento, poi un altro e ancora uno subito dopo. Una rinascita che non poteva essere temporanea, così abbiamo deciso di metterla a coltura e regalare a Milano degli orti. Dapprima ribattezzati orti abusivi, poi divenuti spontanei. Siccome il terreno non era nostro, abbiamo pensato di mettere a disposizione quegli appezzamenti per tutti coloro che avevano il desiderio di coltivare la terra. Oggi è diventato un luogo di socialità partecipata. Ottenuto il risultato era necessario però legalizzare quel territorio e così abbiamo cercato e trovato un accordo con il Comune. Erano gli anni del governo Pisapia che ci ha dato in concessione il terreno con un contratto di autogestione per cinque anni, poi rinnovato da Sala. Sono nati gli orti sinergici, abbiamo attivato un’associazione che si occupa di ragazzi disabili per curare l’orto ed abbiamo creato un tavolo per le attività ricreative. Il successo è stato immediato. Gli orti uniscono, e
lo dimostrano anche i rapporti tra immigrati e residenti, qui funzionano abbastanza bene».

Convivenza pacifica tra immigrati e residenti

Nelle case Aler la convivenza è pacifica, tanto che per la prima volta grazie all’intermediazione di Mario, Regione e Comune hanno cooperato per migliorare la vivibilità. Un piccolo miracolo. «La strada è ancora lunga – ci racconta – anche perché di iniziative da fare e da sviluppare ce ne sono parecchie».

Alla scuola Palmieri il coro dei leoni i bambini cantano musiche di tutto il mondo

Tra le tante, Mario ricorda quella della scuola primaria Palmieri che ha attivato con l’associazione “I Vicini di strada” un percorso musicale per avvicinare i più piccoli alla magia delle note. L’idea è di raccogliere strumenti dismessi e ridar loro vita con una “palestra di musica”, mentre “Il coro dei leoni”, formato da 150 bambini di diverse etnie, ha lo scopo di far conoscere la musica di ogni parte del mondo. «Si tratta di un coro multietnico che è poi lo specchio della società del Municipio 5 – puntualizza
Mario -. Ma anziché farsi la guerra, qui è stato messo in atto un progetto di integrazione, che vede negli orti e nella musica un prezioso collante. Il successo forse è dato dal fatto che questa è da sempre terra di migranti. Negli anni ’70 arrivavano dal Sud Italia con le loro famiglie e un nugolo di bambini, oggi sono stranieri, ancora con famiglie numerose e dunque è più facile qui la coabitazione».

Nelle case Aler “guerre” tra etnie da risolvere

«Le difficoltà maggiori sono non tanto tra italiani e stranieri, ma tra etnie differenti che per ragioni
storiche e culturali mal si tollerano. Alcuni, come marocchini ed egiziani non si parlano, altri non si amalgamano. Cosa si potrebbe fare? Si dovrebbe lavorare nelle case popolari con un progetto di legalità e di educazione civica – spiega Mario che ha chiesto aiuto per questo anche alle istituzioni e alla stampa
per far conoscere i progetti e le attività che realizzano -. Nelle bacheche delle case popolari ci sono le comunicazioni delle nostre iniziative, ma non basta. Sarebbe necessario un tamtam mediatico che arrivi al cuore della gente, facendo iniziative ludiche, ma al tempo stesso educative. Un tentativo che stiamo
facendo con Oklahoma, un’associazione che ospita rifugiati e sviluppa progetti di integrazione attraverso la ristorazione».

Di Federica Bosco

Giornalista professionista e scrittrice, responsabile e coordinatrice del blog Obiettivo Milano

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