Patrizia è nata e cresciuta a Isola, conosce tutta la storia del quartiere.  La incontriamo un sabato mattina in zona rossa e non nasconde una certa preoccupazione per il dopo Covid.

Il mercato è affollato, nonostante le restrizioni e i distanziamenti, ci spostiamo allora nel parco sotto il bosco verticale. Alzando gli occhi al cielo e guardando in direzione del grattacielo più glamour di Milano, questa donna minuta inizia il suo personale racconto: «Sono nata e cresciuta in una delle unità abitative che erano state destinate, in origine, agli operai e alle loro famiglie. Erano gli anni ‘60 e la città si stava popolando di manodopera per le grandi industrie. Condividevo, con la mia famiglia, una piccola abitazione di due stanze che ancora si erge impavida a fianco dei grandi grattacieli che hanno cambiato la prospettiva a questo territorio».

Gli artigiani non abitano più qui

Il contrasto è suggestivo, ma Patrizia che oggi è la portavoce del comitato Isola, non nasconde di non amare troppo l’evoluzione che ha avuto il quartiere.

«Questo è da sempre il borgo dell’artigianato, qui sono nate e si sono sviluppate le botteghe dei maestri dell’arte e ancora nel 1984 un censimento aveva evidenziato la presenza di circa 220 artigiani che, con le loro attività, animavano l’economia del quartiere. Negli ultimi 15 anni c’è stata una trasformazione veloce, travolgente che ha cambiato il tessuto sociale. Le botteghe artigiane sono sparite e sono state soppiantate dai locali del food. I grattacieli si sono animati di manager, i palazzi hanno iniziato a subire il fenomeno degli affitti brevi e molti dei locali storici hanno lasciato il passo alle mode del momento, dirompenti ma di breve durata. Si è persa così, strada facendo, tutta l’arte che in queste vie aveva avuto inizio».

Dalle botteghe dell’arte al food

Un patrimonio dimenticato che Patrizia e il suo comitato vorrebbero riportare in vita. «Il nostro lavoro non si basa sulla contestazione, ma sulla collaborazione – tiene a precisare -. In passato abbiamo fatto indagini sulla movida, sul traffico e sui negozi di vicinato. Puntare solo sulla ristorazione, come è stato fatto negli ultimi anni, è depauperante, si rischia di azzerare un patrimonio nel momento in cui le mode cambieranno e l’interesse dei turisti si sposterà altrove. Già si parla di un rilancio della Bovisa in questo senso, il che vorrebbe dire spostare locali e turisti altrove, lasciando in questo quartiere solo i grattacieli. Un cambiamento che avrebbe un impatto anche sulla società, generando meno sicurezza e un vicinato attivo meno presente».

Un sogno chiamato Università dei mestieri

Mentre Patrizia racconta il suo quartiere fatto di feste in piazza, di iniziative condivise, scambia sorrisi con chi passa veloce e la saluta. Lei ride, strizza l’occhio e riprende: «Proprio questo sentirsi parte di una comunità rischia di sparire se non facciamo qualcosa in fretta per difendere le nostre ricchezze, che non possono essere solo le multinazionali o i fondi esteri con i grattacieli. Mi riferisco agli artigiani e al loro sapere inestimabile che rischia di perdersi».

Un patrimonio che Patrizia e il comitato vorrebbero far rinascere con una Università delle arti e dei mestieri. «L’Italia è il Paese che ha il maggior numero di aziende artigianali, ma rischia di perdere questo patrimonio per strada se non si cerca di creare nuove figure in grado di portare avanti questi valori. Sono 60mila le imprese che rappresentano la più alta espressione della creatività e del saper fare artigiano, dai maestri liutai ai ceramisti che tutto il mondo ci invidia.

Valorizzare storia e tradizioni d’Italia

Investire nell’artigianato artistico significa valorizzare storia e tradizioni d’Italia, in un’ottica di trasmissione generazionale e contaminazione delle conoscenze, anche con strumenti e tecniche all’avanguardia. In questo modo si potrebbero attrarre studenti da tutto il mondo. Ridare dignità all’artigiano  è fondamentale, non deve essere considerato una figura professionale di secondo piano, ma un punto di riferimento nell’economia nazionale».

Una casa per i maestri dell’arte

Un progetto ambizioso dove il maestro d’arte potrebbe trovare il suo habitat naturale.

«Potremmo ipotizzare accademie del legno, dell’edilizia, del corallo, dell’oro, del vetro, della musica, della ceramica, del gusto e dell’ottica, capaci di lavorare anche in sinergia e fare rete. Tutti ambiti di eccellenza che porterebbero studenti da ogni parte del mondo in città e si innescherebbe poi un processo di itinerari turistici verso le province dell’arte».

 

By Federica Bosco

Giornalista professionista e scrittrice, responsabile e coordinatrice del blog Obiettivo Milano

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