Hotel trasformati in residenze Covid per  una quarantena a tre o quattro stelle. Milano ha fatto scuola con l’esperienza del Michelangelo.  Hotel a due passi dalla stazione Centrale che ha ospitato oltre cinquecento pazienti Covid.  Per quattro mesi, la struttura ha ospitato pazienti dimessi dagli ospedali, guariti, ma ancora positivi.

Prefettura, comune e ATS insieme nel Covid hotel

L’organizzazione del percorso di isolamento in assoluta sicurezza è frutto di una sinergia tra Prefettura, Comune di Milano e ATS. «Siamo partiti con tantissimi militari, poliziotti, vigili del fuoco e agenti della guardia di finanza – spiegava Giorgio Ciconali, ideatore e responsabile per ATS del progetto Hotel Covid durante il primo lockdown –  poi è stata la volta delle famiglie con situazioni residenziali difficili e infine abbiamo dato supporto a stranieri».

 270 ospiti chiusi in camera

Dai 270 pazienti accolti tra aprile e maggio,  i numeri sono dimezzati ad inizio estate. Nonostante le critiche mosse da più parti, tra gli operatori  c’è ancora oggi la convinzione che, grazie a questa scelta, Milano ha potuto contenere l’epidemia. «Rientrata la prima ondata della pandemia l’Hotel Michelangelo ha chiuso i battenti,  ma finché è stato necessario, ha permesso di drenare tutte le situazioni difficili anche dei comuni limitrofi – ammette Ciconali –  è stata una soluzione vincente».

«I criteri di inclusione sono stati chiari sin dall’inizio – aggiunge Thea Scognamiglio, dirigente medico di ATS – L’ospite doveva essere indipendente perché questo era un domicilio e non una struttura sanitaria».

Una macchina organizzativa da 500 mila euro al mese

Con un costo di oltre mezzo milione di euro al mese, la macchina organizzativa dell’hotel Michelangelo ha funzionato bene. Merito della cooperativa sociale Proges, che ha gestito l’iter di ingresso e di uscita e i due controlli quotidiani agli ospiti.

«Noi siamo fornitori del comune di Milano – ha spiegato Luigi Regalia della cooperativa Proges – perché gestiamo due RSA del comune, ma per fare questo progetto non abbiamo tolto risorse alle  strutture in essere, ma abbiamo scelto personale disoccupato e senza profili sanitari».

Proges: organizzazione, pasti e sanificazione delle stanze

«A noi spettava la parte organizzativa, la gestione dei pasti  con Milano Ristorazione, le pulizie e la sanificazione delle stanze dopo l’uscita degli ospiti. Durante il soggiorno, invece, ricevevano un kit  per tenere in ordine la propria persona e la stanza. Alcuni addirittura paragonavano l’hotel ad un carcere, ma non era così, piuttosto la stanza era associabile ad una cella da convento perché gli ospiti non avevano le chiavi della porta».

Zero contagi

«Alcuni, dopo un mese, hanno avuto un cedimento psicologico e per questa ragione abbiamo attivato anche un servizio di assistenti sociali. È stato faticoso, ma gratificante. Nella nostra organizzazione lavoravano circa 15 persone per le pulizie, ai piani e in cucina a cui si  aggiungeva personale per la sanificazione e la bonifica delle camere al termine del percorso».

«Nessun contagio tra il personale operativo perché siamo stati attenti alle regole.  Nelle stanze non si entrava, il semaforo verde era concesso solo a medici con tute, occhiali, guanti, mascherine e copri scarpe.  Gli ospiti sono stati molto rispettosi, gradivano il contatto umano, e ringraziavano. Sentirsi parte di questa catena di solidarietà e di lavoro è stato molto gratificante».

L’esperienza positiva è stata emulata nella seconda ondata da altri hotel che hanno dato un tetto a chi non l’aveva, ma al tempo stesso hanno aiutato ospedali e territorio.

Di Federica Bosco

Giornalista professionista e scrittrice, responsabile e coordinatrice del blog Obiettivo Milano

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